dijous, 22 de setembre del 2016

Los musulmanes de Bosnia ¿víctimas o culpables?



IL FATTO QUOTIDIANO.- Figlio dello spirito del tempo, avanza a grandi passi un revisionismo traversale per il quale i musulmani di Bosnia profittarono della guerra (1992-1995) per far entrare in Europa legioni di jihadisti: e perciò sarebbero responsabili della penetrazione islamista nei Balcani, tuttora in corso. Questo singolare rovesciamento, per il quale le vittime diventano i colpevoli, era già stato abbozzato a suo tempo da La Stampa di Torino, che definiva ‘hezbollah’ i soldati bosniaci, intesi come sanguinari fondamentalisti. Rilanciato da un analista militare apprezzato dai neocons, John Schindler, adesso ispira un intervento del generale Mario Arpino, ex capo di stato maggiore, pubblicato dal prestigioso Istituto affari internazionali.

La tesi è la seguente: il presidente bosniaco Alija Izetbegović (autore, ricorda Arpino, della ‘Dichiarazione islamica’) avrebbe offerto “ai propri amici mujaheddin internazionali un campo di battaglia dove continuare ad esercitarsi alla jihad. In definitiva, è lui che avrebbe importato e consapevolmente sviluppato, contagiando anche una parte della gioventù bosniaca, l’estremismo integralista musulmano nell’Europa balcanica”. Di torme di jihadisti accorse in Bosnia narra anche uno storico, di solito rigoroso, come Sergio Romano, secondo il quale Izetbegovic voleva “islamizzare i musulmani”, ragione per cui in Bosnia convennero guerrieri provenienti “da tutte le jihad che si stavano predicando o combattendo in Africa e in Medio Oriente”. Quanti jihadisti? Duemila, azzarda un reportage de Il Corriere della Sera. In ogni caso la tesi che attribuisce alla Bosnia in guerra “una leadership fondamentalista islamica” (così il filosofo marxista Alberto Burgio su Il Manifesto) sembra ormai traversare l’intera geografia destra-sinistra, ripristinando la trasversalità di quel ‘partito dell’inazione’ che durante la guerra saldò destre e sinistre. / Guido Rampoldi
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Giovanni Giacalone, en GLI OCCHI DELLA GUERRA, contradice a Rampoldi.

Rampoldi cita giustamente un passo rassicurante della “Dichiarazione Islamica” di Izetbegovic, pubblicata nel 1970, ma non cita la parte dove l’ex presidente bosniaco afferma: “…Non ci sarà mai pace né coesistenza tra la fede islamica e le istituzioni politiche e sociali non islamiche……Il movimento islamico può e deve impadronirsi del potere politico perché è moralmente e numericamente così forte che può non solo distruggere il potere non islamico esistente, ma anche crearne uno nuovo islamico”.

Il pensiero di Alija Izetbegovic appare contraddittorio, incoerente e ciò traspare non soltanto nella Dichiarazione, ma anche nel suo modus operandi per quanto riguarda la politica estera, con corteggiamenti sia a Occidente che in terra islamica. Se a Ovest Izetbegovic parlava di democrazia e multiculturalismo, ai sauditi e agli iraniani citava la Sharia e la jihad.

Forse non ha torto Evan Kohlman, quando descrive l’ex presidente bosniaco non tanto come un estremista religioso, quanto piuttosto come un profilo debole sia sul piano politico che militare, paragonandolo al leader ceceno degli anni ’90, Dzokhar Dudayev.

Un ulteriore elemento che può valer la pena citare è il gruppo pan-islamista, ideologicamente vicino alla Fratellanza Musulmana egiziana, fondato nel 1939 in Bosnia e denominato Mladi Muslimani (Giovani Musulmani); trai suoi più ferventi attivisti c’era proprio Alija Izetbegovic. Una curiosità, il periodico pubblicato dal gruppo prendeva il nome di “el-Mudzahid”, esattamente come quell’unità di jihadisti arabi che negli anni ’90 confluiranno in Bosnia e che adotteranno come simbolo uno stemma molto simile a quello della Fratellanza Musulmana.

È vero che la comunità islamica di Bosnia non ha mai emesso fatwe e non poteva che essere così. Infatti il problema del radicalismo islamista in Bosnia nasce proprio con l’arrivo dei jihadisti arabi e il loro insediamento in loco dopo la guerra, oltre che con il costante e sistematico proselitismo tentato nei confronti dei giovani miliziani bosniaci e in alcuni casi andato a buon fine, come dimostrano alcuni casi sopra citati.

Del resto che la Bosnia sia oggi uno dei paesi balcanici col più alto tasso di radicalizzazione, assieme al Kosovo, è dimostrato anche dal numero di jihadisti partiti per la Siria (circa 250).

È la prima volta nella storia dei Balcani che un numero così alto di combattenti si mobilita per una causa jihadista mediorientale, a differenza del 1995, quando i bosniaci partiti per la Cecenia assieme ai mujahideen arabi si contavano sulle dita di una mano. Segnale evidente che la propaganda salafita ha dato i suoi frutti.
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